Tra i vari prodotti dell'alveare la propoli spesso ha un ruolo marginale sia dal punto di vista delle quantità prodotte che dal punto di vista del ritorno economico.

 

Eppure questo prodotto sta avendo una richiesta di mercato sempre maggiore, soprattutto se di qualità elevata.

Ma quindi si può impostare una produzione di propoli da reddito? E nel caso come?

 

Lo abbiamo chiesto ad Andrea Mengassini Giordano, biologo e apicoltore di Terracina in provincia di Latina, che dal 2019 ha riconvertito tutta la sua azienda apistica esclusivamente alla produzione di propoli grezza.

 

Dottor Mengassini, perché questa idea di produrre solo propoli?
"Più che un'idea è stata una decisione di strategia aziendale, dovuta alla crisi della produttività del miele, sempre più difficile da fare in questa situazione di cambiamento climatico e anche sempre più difficile da vendere. Con la crisi dovuta alla pandemia poi, dove anche gli sbocchi più remunerativi come i mercatini per la vendita diretta sono venuti meno, questa scelta si è rivelata sempre più interessante e vincente. Inoltre, per la produzione di propoli c'è anche bisogno di molto meno materiale e di molto meno spazio: non servono macchinari per l'estrazione del miele, né magazzini molto ampi per i melari".

 

Oggi la sua azienda come è strutturata?
"Attualmente ho 40 alveari, da cui produco una media di circa 100 chili di propoli grezza all'anno. Ma da quest'anno dovrei aumentare le dimensioni e arrivare a 70 alveari".

 

Ma come funziona la produzione di propoli? Tradizionalmente si raschia quella che rimane sui melari o sui telaini. Si fa così?
"No, per la produzione io uso le reti da propoli della ditta greca Anel, che ad oggi considero l'unico dispositivo realmente efficace presente sul mercato, anche se sto sperimentando in azienda un melario modificato: spero di avere dati interessanti entro un paio di stagioni. Si tratta di una rete in plastica alimentare certificata, simile ad un'escludi regina, ma con le maglie più piccole e con una geometria a forma di tronco di piramide.
Questa rete si dispone sopra i telai del nido e poi si copre con il coprifavo rovesciato, in modo che le api abbiano spazio per muoversi sia sopra che al di sotto della rete. E poi si toglie quando è piena per sostituirla con una rete vuota".

 

Così semplice?
"Insomma. Non quanto sembra. In generale, è tutta la conduzione degli alveari ad essere diversa rispetto alla produzione di miele.

All'inizio ho provato a produrre sia miele che propoli mettendo le reti sopra i melari, ma ho notato che questo comportava una riduzione della produttività per entrambi, sia del miele che di quella della propoli. Così ora uso solo alveari dedicati alla produzione della propoli, selezionati e moltiplicati nel tempo a partire da famiglie che importano maggiormente le materie prime ovvero le resine vegetali quelli più produttivi per l'importazione della propoli. Questo non esclude che si possano tenere nello stesso apiario alveari dedicati alla produzione di miele e altri dedicati alla produzione di propoli, ma si deve essere consapevoli che devono essere gestiti in maniera diversa e ognuno per il suo tipo di produzione. E questo a volte può complicare un po' l'organizzazione del lavoro.

 

Per quanto riguarda la modalità di lavoro io metto le reti a marzo e le tolgo a inizio novembre, sostituendole ogni volta che sono piene. In genere ogni 20 giorni un alveare ha una produzione media di 250 grammi, ovviamente se la botanica intorno è quella giusta. Infatti si devono scegliere postazioni adatte alla propoli".

 

Non si può pensare di fare con gli stessi alveari propoli e miele in periodi diversi della stagione?
"In teoria sì, se la flora è adatta, anche se a me sembra che anche in questo caso la produttività cali per entrambe le produzioni. Ma potrebbe essere solo una mia impressione, potrebbe essere interessante approfondire la cosa".

 

E quali piante sono più indicate per la produzione della propoli?
"Quelle che sono tradizionalmente indicate nei manuali di apicoltura. In generale piante arboree come querce, salici, betulle, pioppi. Io sto lavorando anche su altre specie, come le rose, in un roseto biologico per la produzione di rose alimentari, e su luppolo. E in questi casi sono riuscito ad ottenere delle propoli con caratteristiche fitochimiche particolari e molto interessanti. Ho anche iniziato a raccogliere propoli dalle galle delle querce, ottenendo anche in questo caso un prodotto completamente diverso, molto più ricco di tannini, rispetto alla propoli raccolta sulle gemme delle stesse querce".

 

Fa anche nomadismo?
"Al momento no, perché ho apiari collocati in prossimità delle piante su cui mi interessa raccogliere, ma in prospettiva penso che inizierò a farlo, per andare ad ampliare la gamma di produzione".

 

E il clima che cambia impatta sulla produzione?
"No, anzi sto notando che la tropicalizzazione, o comunque l'aumento delle temperature medie, migliora la produzione".

 

Ci sono particolari problemi legati alla presenza di residui di fitofarmaci o di farmaci antivarroa?
", perché la propoli è entrata nella normativa degli integratori alimentari, quindi non si possono fare trattamenti alle api con amitraz e fluvalinate. Si deve ovviamente dare un'occhiata all'ambiente per eventuali residui di fitofarmaci e poi devono essere valutati i contenuti di metalli pesanti e di idrocarburi policiclici aromatici (Ipa). La scelta dell'ambiente quindi è fondamentale, come pure la certificazione biologica, che è anche uno strumento importantissimo per il posizionamento del prodotto sul mercato".

 

Parliamo allora del mercato, com'è? 
"Il mercato è vergine. I clienti sono fondamentalmente aziende farmaceutiche o erboristiche, italiane e nord europee. C'è grandissima richiesta e la certificazione biologica, come si è detto, è il requisito fondamentale per il mercato di qualità. In Nord Europa iniziano a chiedere anche una certificazione ogm free. Sul mercato italiano un prodotto particolarmente titolato in polifenoli e tannini, esente residui e in certificazione bio oscilla tra i 90 euro e i 100 euro al chilo
Attualmente sono in contatto con altri apicoltori, anche grandi, con alcune centinaia di alveari, che vogliono diversificare e ridurre o concentrare su pochi alveari la produzione di miele e convertire gli altri a propoli. Per questo stiamo cercando di coordinarci, per produrre nello stesso modo e ottenere prodotti con standard qualitativi analoghi e poter presentarci insieme sul mercato per avere più forza commerciale e contrattuale".

 

Un consorzio?
"No, almeno per il momento no. Troppo complicato dal punto di vista burocratico e poco mirato per gli obiettivi che ci siamo posti. Ci piace definirlo meglio un 'collettivo di vendita', dove un'azienda capofila raccoglie la produzione e si pone come unico intermediario sul mercato, ma con un grosso quantitativo di prodotto, anche grazie alla novità della 'certificazione collettiva' in seno al Regolamento Europeo 848/2018 del Biologico. Una sorta di cooperativa informale, possiamo dire. È un esperimento, poi nel caso si vedrà come svilupparlo".

 

Qual è oggi il limite principale per la produzione di propoli?
"La voglia di starci dietro. La tecnica comunque è complicata. Gli alveari devono essere gestiti in maniera diversa da quelli da miele. Ad esempio, per la propoli tendo a non fare più il controllo della sciamatura togliendo le celle reali, ma facendo nuovi nuclei e lavorando su famiglie più piccole. Per certi aspetti può essere anche più semplice rispetto alla produzione del miele, ma se si vogliono fare due produzioni si deve lavorare in due modi completamente diversi e questo può complicare l'organizzazione aziendale. Bisogna quindi valutare e scegliere, in base ai propri obiettivi e alle proprie possibilità".